ALIMENTAZIONE VACCHE DA LATTE

01/07/2025

IL RUOLO DELLA PeNDF E IL SUO CALCOLO PRATICO IN AZIENDA

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Nel bilanciamento della razione della bovina da latte, la fibra rappresenta un cardine non solo per la salute ruminale, ma anche per la stabilità produttiva, l’ingestione e la prevenzione di disturbi metabolici. Tuttavia, parlare di fibra solo in termini di contenuto di NDF non è più sufficiente. Oggi è necessario comprendere quanta parte di quella fibra sia davvero efficace nel promuovere la masticazione, salivazione e la stratificazione ruminale. Nasce così il concetto di peNDF, ovvero fibra fisicamente efficace, un parametro che integra la componente chimica con la struttura fisica dell’alimento.


FUNZIONI E CALCOLO DELLA PeNDF
La peNDF rappresenta la quota di NDF che, per dimensione e struttura, è in grado di attivare la ruminazione. Non si tratta semplicemente della quantità di fibra presente, ma di quanto quella fibra riesce a stimolare la masticazione e a trattenersi nel rumine. Secondo Mertens, la distinzione tra NDF effettiva e NDF fisicamente efficace è fondamentale: la prima si riferisce alla capacità di mantenere la percentuale di grasso del latte, mentre la seconda si concentra esclusivamente sulle proprietà fisiche che influenzano la motilità ruminale. Per calcolare la peNDF si procede determinando, tramite analisi di laboratorio, la percentuale di NDF dell’alimento. Questa viene poi moltiplicata per un fattore detto “pef”, ovvero il physical effectiveness factor. Questo coefficiente si ottiene attraverso una valutazione meccanica, spesso condotta con strumenti come il Penn State Particle Separator o la Z-box. Le particelle che superano la soglia critica di 1,18 mm sono considerate fisicamente efficaci, perché capaci di stimolare la ruminazione.
La formula è semplice: peNDF = NDF × “pef”. Ad esempio, se un alimento ha un contenuto di NDF del 38% e il 60% del campione trattiene particelle sopra i 1,18 mm, la peNDF sarà 22,8% sulla sostanza secca. In razioni per vacche in lattazione con unifeed a base di insilati, l’obiettivo è raggiungere valori di peNDF non inferiori al 21-23%, soglia necessaria per garantire una buona attività ruminale e prevenire cali di pH e acidosi subclinica. Ma la struttura non è tutto. A parità di dimensioni, diverse fonti di fibra possono dare risposte differenti in termini di masticazione. Questo introduce il concetto di fragilità della fibra, ossia la resistenza che una particella oppone alla rottura durante la masticazione. Studi condotti dal Miner Institute hanno evidenziato una correlazione tra fragilità, digeribilità della NDF e risposta ruminale. In alcuni casi, la digeribilità può essere un indicatore persino più sensibile della sola peNDF. La corretta gestione dei carboidrati fibrosi nella razione richiede quindi un approccio integrato, la fibra non va solo dosata, ma osservata, misurata e valorizzata per la sua reale efficacia meccanica e fermentativa. Le emicellulose, la cellulosa e la lignina, componenti rispettivamente della NDF e dell’ADF, partecipano in modo diverso alla fermentazione ruminale. Più la fibra è digeribile, più contribuisce alla crescita microbica e all’efficienza del rumine. L’obiettivo della nutrizione moderna è quindi duplice: garantire quantità sufficienti di fibra e selezionare ingredienti con struttura e qualità adeguate per assicurare una peNDF ottimale.


CONCLUSIONI
La peNDF non è solo un valore tecnico: è uno strumento pratico per leggere meglio ciò che accade nel rumine. Una fibra con le giuste caratteristiche fisiche protegge l’equilibrio ruminale, sostiene l’ingestione e migliora la risposta produttiva della bovina. In un contesto produttivo in cui si lavora sempre più con unifeed ad alta densità energetica, l’analisi della peNDF diventa un punto chiave per evitare errori invisibili ma costosi. Calcolarla con metodo, verificarla in campo con strumenti come PennState e Z-box, e interpretarla in funzione della reale risposta dell’animale sono oggi competenze tecniche irrinunciabili.

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